I farmaci biosimilari nella terapia della psoriasi

Girolomoni G.


La scadenza brevettuale di alcuni farmaci biologici utilizzati per il trattamento della psoriasi e dell'artrite psoriasica ha stimolato l'interesse delle aziende farmaceutiche riguardo lo sviluppo di biosimilari di tali molecole. Attualmente per l'utilizzo in dermatologia è registrato un biosimilare di infliximab (CT-P13) commercializzato in Italia con i nomi Remsima e Inflectra rispettivamente da Mundipharma Pharmaceuticals e Hospira. Sono in varie fasi di sviluppo biosimilari di altre molecole tra cui etanercept, rituximab e adalimumab che si affacceranno sul mercato nei prossimi mesi o anni.
Un medicinale biosimilare, secondo la definizione dell'European Medicines Agency (EMA), è un medicinale sviluppato in modo da risultare sostanzialmente identico a un medicinale biologico che è già stato autorizzato, ovvero il medicinale di riferimento. Medicinale biosimilare e medicinale di riferimento (originatore) possiedono lo stesso principio attivo, devono presentare lo stesso profilo di sicurezza ed efficacia e generalmente sono autorizzati per il trattamento delle stesse patologie (1). La sequenza amminoacidica (struttura primaria) del biosimilare è identica a quella del suo medicinale di riferimento, mentre possono essere presenti alcune differenze molecolari dovute alla natura complessa delle molecole biologiche indotte dalle tecniche di produzione (1). L'utilizzo dell'aggettivo biosimilare e non di quello bioidentico è giustificato dalle variazioni molecolari legate alla natura stessa del prodotto biologico. L'utilizzo di sistemi cellulari nel processo di produzione di un farmaco biologico, infatti, può dare origine a microeterogeneità, con generazione di un prodotto che di fatto risulta essere una miscela di forme differenti della stessa proteina (2, 3). Si può quindi affermare che la non identicità è una realtà che accomuna tutti i farmaci biologici anche di primo sviluppo (4). Tutti i farmaci biologici hanno subito variazioni del processo produttivo dopo la loro prima approvazione, in alcuni casi con lo scopo di migliorare la qualità o l'efficienza di produzione (4).  Anche lotti consecutivi di un medicinale originatore non sono mai esattamente identici tra loro e in pratica molti dei farmaci biologici in commercio potrebbero essere considerati biosimilari dei loro stessi lotti di produzione originari (5). Ad esempio, l'introduzione di un nuovo processo ha determinato una modifica dei pattern di glicosilazione tra i lotti di etanercept prodotti prima e dopo tale variazione;  il nome del prodotto è tuttavia rimasto invariato, in quanto l'esercizio di comparabilità ha permesso di dimostrare che le molecole prodotte prima e dopo la variazione del processo produttivo sono sostanzialmente identiche dal punto di vista delle proprietà biologiche (6). Allo scopo di assicurare che i minimi cambiamenti strutturali introdotti in seguito alla modifica del processo produttivo di un farmaco biologico non determinino alterazioni del suo profilo di efficacia e sicurezza, gli Enti regolatori hanno introdotto, sia per i farmaci biotecnologici originatori che subiscono modifiche del loro processo produttivo, che per i biosimilari, l'esercizio di comparabilità, che prevede tre livelli di indagine successivi (7): 1. primo livello: comparabilità della qualità (comparabilità fisico-chimica e biologica); 2. secondo livello: comparabilità non clinica (studi non clinici comparativi); 3. terzo livello: comparabilità clinica (studi clinici comparativi). Il primo livello dell'esercizio di comparabilità è rappresentato dalla comparazione delle caratteristiche chimico-fisiche mediante un'esauriente caratterizzazione analitica (qualità del prodotto finito, struttura primaria, secondaria, terziaria, quaternaria) eseguita a livello strettamente comparativo sul biosimilare e sull'originatore. Il secondo livello valuta la comparabilità della funzione biologica a livello non clinico in vitro e in vivo. Il terzo livello, la comparazione clinica, prevede la dimostrazione della equivalenza dei parametri farmacocinetici e farmacodinamici, dell'efficacia, della sicurezza e della immunogenicità mediante studi clinici condotti all'interno di popolazioni di pazienti che gli esperti dell'EMA considerano essere i modelli clinici più sensibili al fine di rilevare differenze tra biosimilare e originatore. Per poter essere approvato dall'EMA, un farmaco biosimilare deve essere sovrapponibile all'originatore in termini di struttura molecolare, farmacocinetica e farmacodinamica in vitro e in vivo, efficacia, sicurezza e immunogenicità nell'uomo. L'esercizio di comparabilità garantisce che le differenze esistenti tra biosimilare e originatore sono di fatto contenute all'interno dello stesso intervallo di variabilità presente tra i diversi lotti dello stesso farmaco di riferimento che abbia subito modifiche del suo processo produttivo. Il biosimilare viene quindi approvato quando è dimostrato che la variabilità naturale ed eventuali differenze rispetto al medicinale di riferimento sono ininfluenti sui profili di sicurezza ed efficacia (8). Il processo di autorizzazione di un biosimilare e il tipo di studi richiesti sono diversi da quelli richiesti per un nuovo farmaco biologico (8). È importante ricordare infatti che lo scopo della valutazione del prodotto biosimilare non è la caratterizzazione del profilo rischio/beneficio del prodotto come tale, che è già stato stabilito dal medicinale di riferimento, bensì la valutazione qualitativa e quantitativa della comparabilità del prodotto biosimilare rispetto al prodotto di riferimento (11). Mentre per un nuovo farmaco introdotto in commercio sono richieste prove che dimostrino il suo profilo di sicurezza ed efficacia in diverse popolazioni di pazienti mediante il completamento di studi clinici, il biosimilare di una molecola già autorizzata, al contrario, non deve dare prova di di sicurezzaed  efficacia perché queste informazioni sono già ampiamente disponibili. Al biosimilare................
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